La psicoterapia psicodinamica ha come obiettivo quello di comprendere la persona che chiede aiuto in modo empatico e non giudicante, all’interno di una relazione significativa. L’alleanza stabilita favorirà un processo di comprensione di sé stessi e delle proprie modalità di relazionarsi al mondo, facilitando il processo di apertura e di fiducia con e nell’altro da sé.
“Psiche” significa mente, “dinamica” fa riferimento invece a delle forze in movimento.
In tal senso, la psicoterapia ad orientamento psicodinamico è un percorso terapeutico basato sull’idea che pensieri ed emozioni di cui non siamo consapevoli, possano causare sintomi come ansia, depressione, bassa autostima e difficoltà relazionali.
Questi pensieri ed emozioni, relegati nell’inconscio, influiscono significativamente sul modo in cui pensiamo, sentiamo e reagiamo agli eventi, determinando le nostre scelte di vita. In quest’ottica, pensieri ed emozioni possono essere visti come forze mentali in movimento e spesso in conflitto tra di loro.
La psicoterapia ad orientamento psicodinamico significa innanzitutto riferirsi a quelle tecniche derivanti dalla psicoanalisi, nata ad opera di Sigmund Freud (1856-1939). Tale approccio però, pur basandosi sui fondamenti della psicoanalisi, si differenzia da quest’ultima sia per il numero di sedute che per l’assenza del lettino. Nella terapia psicoanalitica, infatti, il paziente è disteso e il numero di sedute è maggiore. Secondo quando riferisce Gabbard (2010), distinguiamo una psicoterapia psicodinamica a lungo termine (più di ventiquattro sedute o della durata di oltre sei mesi) e una psicoterapia psicodinamica a breve termine (meno di ventiquattro sedute o sei mesi).
Anche se sono diversi i modelli teorici di riferimento, tale approccio presenta delle costanti dovute a degli aspetti comuni a tutti, ovvero quelli riguardanti l’alleanza terapeutica, il transfert, il controtransfert, la resistenza ed elaborazione e le modalità conclusive della terapia.
Il paziente che beneficia di un tale intervento è una persona interessata a conoscere e a comprendere quei modelli pregressi e inconsci che hanno tracciato, nella sua esperienza soggettiva di vita, un percorso più o meno consolidato che lo rende oggi intrappolato in schemi disfunzionali che gli causano sofferenza. Il desiderio di comprendere se stessi, la volontà che si realizzi una certa consapevolezza del funzionamento del proprio sé e una significativa motivazione, indicano al paziente la propria adeguatezza a questo tipo di trattamento (Gabbard, 2010).
Il terapeuta deve essere in grado di cogliere la capacità di mentalizzazione del proprio paziente, ovvero la capacità di quest’ultimo di percepire i propri e gli altrui stati mentali come spiegazioni del comportamento e, pertanto, di comprendere che il proprio comportamento è guidato da punti di vista e credenze non sempre condivisi dall’altro da sé. Lo psicoterapeuta psicodinamico osserva, inoltre, le modalità con le quali il paziente è solito relazionarsi al mondo e all’altro da sé e, in questo caso, al terapeuta, manifestandole nella relazione con quest’ultimo.
Il terapeuta dovrà saper cogliere, altresì, se il paziente è in grado o meno di gestire gli impulsi e di tollerare le frustrazioni mostrandosi resiliente o meno davanti agli eventi avversi.
L’intervento si configura così tra un atteggiamento espressivo e un atteggiamento supportivo: questo dipenderà dai bisogni del paziente e che emergono sempre all’interno di una cornice in cui domina l’alleanza terapeutica.
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