La timidezza è un tratto della personalità che caratterizza in varia misura il comportamento di un essere umano, in ogni epoca e cultura.
Se impariamo a gestirla, è per così dire “normale”, diversamente può portare ad una condizione cronica/patologica, accompagnata da un desiderio di scomparire ogni qual volta ci si trova in situazioni in cui ci si vergogna.
Ognuno di noi può fare esperienza di questa situazione di timidezza senza che per questo sia da considerare come un aspetto “patologico”. Probabilmente, non esiste una definizione univoca, ma essa può essere descritta in modi diversi a seconda se si mettono in evidenza gli aspetti psicologici o i suoi risvolti comportamentali quali ad esempio l’evitamento di situazioni ritenuti “imbarazzanti” per la persona.
Il timido prova la sensazione di essere osservato e oggetto di giudizio da parte degli altri, un giudizio che si configura sempre come negativo. Tale sensazione alimenta la sua bassa autostima e rinnova la scarsa fiducia in sé stessi.
La timidezza si correla al timore di non essere accettati, all’insicurezza, e il timido appare remissivo o inibito, a seconda dell’ intensità con cui si presenta la sua timidezza, e delle aspettative negative. Questo genera nelle persone timide un diverso grado di pervasività e sofferenza. La persona timida avverte nelle situazioni pubbliche una forma di nervosismo e ansia che generano, come sintomi manifesti, il rossore, l’inibizione sociale e l’evitamento. Il mondo appare come un nemico che perseguita e innesca bassa autostima, paura del giudizio, aspettative negative, tentativo di controllo su ogni situazione sociale e vergogna fino a giungere a fobie, paranoie, ansia sociale, angoscia. La timidezza in questo caso assume tratti fortemente pervasivi e invalidanti tanto da costringere la persona a voler mantenere una distanza tra sé e l’altro, vissuto come giudicante e cattivo.
L’emozione prevalente è la vergogna di mostrarsi come si è e quindi di “uscire allo scoperto”. Le cause possono probabilmente rintracciarsi in un’inibizione continua vissuta nell’infanzia, in un’educazione castrante e coercitiva. In tal senso, la psicoterapia può aiutare ad integrare le varie parti di sé, per riconquistare fiducia in se stessi per vivere pienamente e darsi la possibilità di abbandonarsi alle emozioni senza paura che queste possano essere giudicate o considerate spregevoli o poco adeguate.
La psicoterapia vissuta dunque come un percorso di accettazione per uscire allo scoperto con fiducia, facilitando l’abbandonando di quell’ “assurdo” desiderio di scomparire.
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